La vida humana, verosímil y carente de interés, trata de reproducir las maravillas del arte. La literatura se anticipa a la vida. No la copia. (Oscar Wilde en La decadencia de la mentira).
mercoledì 7 novembre 2012
mercoledì 26 settembre 2012
No surprises
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Tagliarsi
i capelli,
Usare
l’abito ed essere un morto più elegante.
Curarsi
i denti,
bere
meno,
mangiare
meno,
non
innamorarsi.
Arrivare
in tempo,
lavarsi
più spesso,
fare
ginnastica.
Sorridere
continuamente,
far
crescere il proprio conto,
dimenticarsi
delle puttane.
A
dormire presto.
Guardare
i telegiornali,
avere
buoni rapporti con i vicini,
convivere
con i compagni dell’ufficio.
Associarsi.
Vendere
il culo al diavolo.
Mi
chiedo cosa sia stato
a
costarti di più.
Non
scrivi più,
la
tua chitarra non sanguina più,
non
ti smarrisci più
in
cronache disordinate.
Adesso
resta solo la vita così,
zittita,
senza
passione né euforia,
senza allarmi e senza sorprese.
Silencio.
II
Morire
è smettere di muoversi
e
già da tempo
sei
rimasto fermo
Se
non fosse per l’insonnia e l’abulia
Che
ogni notte ti sconforta
potresti
giurare
che
tutto vada bene.
R. Israel Miranda (Traduzione di Gianfranco Pecchinenda)
mercoledì 1 agosto 2012
BORGES BAR
Erano quasi le tre, questa notte, quando sono entrato in
quel bar. O forse non c’era per niente, il tempo, a quell’ora, in quel luogo.
Avevo girato a lungo prima, invano, intorno al vecchio edificio, alla ricerca
di qualche apertura dalla quale poter addentrarmi.
Avevo bussato, sempre troppo
timidamente, a diverse porte e finestre, sempre inutilmente. Infine ce l’avevo
fatta e finalmente, adesso, mi trovavo al suo interno. Era così oscuro, così
annebbiato dal fumo, l’ambiente. Era così accentuato il mio sentimento di
solitudine.
Per un silenzioso accordo preso con me stesso, avevo deciso di
andarci per poter osservare più da vicino la mia follia, dare una seppur
approssimativa sistemazione a qualcuna delle mie tante incertezze: “para arreglar el mundo solo sirven tres
cervezas” – diceva qualcuno – tre birre possono riordinare le cose del
mondo…: io desideravo soltanto chiedere
un rum – quello preferito dal mio amico Montero, o anche da Lionel Dobie;
riconoscere il volto di qualche vecchio amico, condividere con discrezione le
sue rispettive, silenziose introspezioni: ci sono angosce la cui pressione si
indebolisce con gli opportuni silenzi di certi momenti. Senza saperlo, ero alla
ricerca di uno di quei momenti. Uno di quei rari momenti.
(...) continua
lunedì 23 luglio 2012
MARTA
Gianfranco Brevetto, Marta, 2012
Javier Marías, Mañana en la batalla piensa en mí, 1994
A nessuno verrebbe in mente di potersi ritrovare, di punto in bianco, al fianco di una persona morta. O meglio, di una persona non del tutto viva. Ci si ritrova stupefatti, increduli. Poi, riprendendosi lentamente, si prova a ricostruire gli eventi, sempre però tendendo a nascondere i fatti e le circostanze più scabrose, relative all'accaduto. Si comprende che è assolutamente necessario ristabilire l'ordine delle cose, l'ordine del mondo. Al contempo si comprende che tutta una serie di oggetti, di discorsi, di passioni, andranno persi per sempre. E domani, o comunque presto, nessuno li ricorderà. Se lui, invece di seguirla, ammaliato da quel suo sguardo, da quelle sue gambe, da quei suo tacchi; se lui - dicevo - avesse in quel momento deciso di non seguirla, di evitare di incontrarla, forse lei non sarebbe morta. Anche se forse non sarebbe mai diventata realmente viva. Lui certamente non lo avrebbe mai saputo, e questo è certamente un fatto!
Marta se ne stava lì seduta, dalla sua borsa fuoriuscivano fotografie, oggetti, ricordi, libri. Un libro. Ma non era il libro di Marta. Il libro di Marta doveva essere ancora scritto, quello. Lei sarebbe morta, la storia non sarebbe mai nata, una nuova storia.
Quella che era stata già scritta la vedeva lì, distesa sul letto, senza vita, con un amante al suo fianco incredulo, ossessionato da mille pensieri che gli frullavano contemporaneamente nella testa; pensieri che non riusciva ad esprimere, storie che non sarebbe riuscito mai a narrare. Eppoi - la cosa più orribile - c'era di là il bambino che inconsapevole di tutto dormiva, tranquillo. nella sua stanzetta, ignaro del fatto che la sua mamma, al risveglio, non ci sarebbe stata oramai più. Il padre, lui sì, lo avrebbe rivisto, anche se non subito. Era partito per Londra, dove si trovava quella notte, e non sarebbe rientrato prima di un paio di giorni. Una notte, una volta; una volta sola con quel nuovo amante. E durante quel tradimento, d'improvviso, si sarebbe accasciata per sempre su di sé, dentro di sé.
Doveva riflettere: cosa fare del bambino, di quel corpo oramai senza vita, di quel marito ignaro che si trovava altrove, di quegli oggetti, dei vestiti appena dismessi da Marta e che non avrebbe mai più potuto indossare. Andò di là in cucina, per riordinare le coordinate del suo mondo. Una birra, anzi un cognac. Forte. Due.
Fuggire ed entrare nel primo ristorante e incontrare di nuovo lei, Marta.
Seguirla. Affascinato, senza ragione. Con stupore, solo con stupore. Vivere, rivivere, scrivere. Come se fosse sempre la prima volta. Come se potesse realmente esistere una sola prima volta.
di Gianfranco Pecchinenda
Javier Marías, Mañana en la batalla piensa en mí, 1994
A nessuno verrebbe in mente di potersi ritrovare, di punto in bianco, al fianco di una persona morta. O meglio, di una persona non del tutto viva. Ci si ritrova stupefatti, increduli. Poi, riprendendosi lentamente, si prova a ricostruire gli eventi, sempre però tendendo a nascondere i fatti e le circostanze più scabrose, relative all'accaduto. Si comprende che è assolutamente necessario ristabilire l'ordine delle cose, l'ordine del mondo. Al contempo si comprende che tutta una serie di oggetti, di discorsi, di passioni, andranno persi per sempre. E domani, o comunque presto, nessuno li ricorderà. Se lui, invece di seguirla, ammaliato da quel suo sguardo, da quelle sue gambe, da quei suo tacchi; se lui - dicevo - avesse in quel momento deciso di non seguirla, di evitare di incontrarla, forse lei non sarebbe morta. Anche se forse non sarebbe mai diventata realmente viva. Lui certamente non lo avrebbe mai saputo, e questo è certamente un fatto!
Marta se ne stava lì seduta, dalla sua borsa fuoriuscivano fotografie, oggetti, ricordi, libri. Un libro. Ma non era il libro di Marta. Il libro di Marta doveva essere ancora scritto, quello. Lei sarebbe morta, la storia non sarebbe mai nata, una nuova storia.
Quella che era stata già scritta la vedeva lì, distesa sul letto, senza vita, con un amante al suo fianco incredulo, ossessionato da mille pensieri che gli frullavano contemporaneamente nella testa; pensieri che non riusciva ad esprimere, storie che non sarebbe riuscito mai a narrare. Eppoi - la cosa più orribile - c'era di là il bambino che inconsapevole di tutto dormiva, tranquillo. nella sua stanzetta, ignaro del fatto che la sua mamma, al risveglio, non ci sarebbe stata oramai più. Il padre, lui sì, lo avrebbe rivisto, anche se non subito. Era partito per Londra, dove si trovava quella notte, e non sarebbe rientrato prima di un paio di giorni. Una notte, una volta; una volta sola con quel nuovo amante. E durante quel tradimento, d'improvviso, si sarebbe accasciata per sempre su di sé, dentro di sé.
Doveva riflettere: cosa fare del bambino, di quel corpo oramai senza vita, di quel marito ignaro che si trovava altrove, di quegli oggetti, dei vestiti appena dismessi da Marta e che non avrebbe mai più potuto indossare. Andò di là in cucina, per riordinare le coordinate del suo mondo. Una birra, anzi un cognac. Forte. Due.
Fuggire ed entrare nel primo ristorante e incontrare di nuovo lei, Marta.
Seguirla. Affascinato, senza ragione. Con stupore, solo con stupore. Vivere, rivivere, scrivere. Come se fosse sempre la prima volta. Come se potesse realmente esistere una sola prima volta.
di Gianfranco Pecchinenda
domenica 4 marzo 2012
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