sabato 26 giugno 2010

Don Chisciotte

Il tema principale del Don Chisciotte è la letteratura stessa: la possibilità della mente umana di abitare due mondi allo stesso tempo e discernere tra i due. Miguel de Cervantes viene a dirci che viviamo in un continuo contatto con la finzione. Dobbiamo vivere – per sopravvivere – nella finzione. E un’esperienza della finzione non si trova solo nella letteratura ma anche e soprattutto nei sogni, nel potere, nella religione.
Se al nostro risveglio credessimo o prendessimo seriamente il sogno come qualcosa di realmente accaduto, diventeremmo pazzi. Un altro ambito in cui conviviamo con la finzione è il campo magnetico e simbolico che presuppone l’esperienza del potere. E per quanto concerne la religione non c’è alcun dubbio che si tratti in gran parte di letteratura, in quanto a suo sostegno esiste una storia o una catena di parabole narrative in cui appaiono innumerevoli personaggi o idee. Come ha detto Borges: la religione forma parte indissolubile della letteratura fantastica.
Non sembri strano, dunque, come mostra il romanzo di Cervantes, che tanto la memoria come la coscienza e la finzione ci consentono di stare nel mondo dei vivi per comprendere che il volto riflesso nello specchio non è quello di un altro personaggio ma semplicemente questo, un riflesso.
Sono già trascorsi più di quattrocento anni da quando è stato pubblicato il primo esemplare della prima parte del Don Chisciotte. Cervantes la scrisse durante l’anno in cui ne compiva 57, nel 1605, e non poteva immaginare allora che con quell’opera stava inventando il romanzo moderno. Il dato non è ozioso.
A 68 anni, dieci anni dopo il primo volume, nel 1615, Cervantes ha scritto e pubblicato la seconda e ultima parte del grande classico, quando i conquistatori spagnoli già si trovavano da 95 anni nella Nuova Spagna (Cervantes nasce nel 1547 ed è contemporaneo di Hernan Cortés). Ed è tale la libertà della sua inventiva che si è consentito ogni genere di digressione nell’ambito del “romanzo all’interno del romanzo.” Per questo nel Don Chisciotte ci sono già tutte le “innovazioni” sperimentate dal romanzo moderno nelle opere di Marcel Proust, James Joyce, Virginia Woolf, William Faulkner ed altri.
Alonso Quijano – il personaggio drogato di romanzi di cavalleria che si propone di rappresentare un altro personaggio, Amadis de Gaula, fingendosi pazzo – sfiorava appena i 50 anni. Ciononostante è difficile credere nella “follia” di un cavaliere dal discorso così coerente e saggio. Almeno dal punto di vista della neurofisiologia moderna.
Un esempio del fatto che il Cervantes autore e narratore del Chisciotte si muova su vari piani di realtà, emerge con chiarezza nei primi capitoli della seconda parte: il personaggio Alonso Quijano vestito da Don Chisciotte parla di uno scrittore, Miguel de Cervantes, che ha scritto un’opera intitolata El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha. Ne discute con Sancio, il quale ha anch’egli saputo del Quijote di Avellaneda, l’anonimo autore al quale era venuto in mente di scrivere una seconda parte prendendosi gioco di Cervantes, ed entrambi lo criticano senza pietà.
Con questo gioco di specchi, tra realtà e finzione, Cervantes è tipicamente un pirandelliano avant la lettre, ovvero stabilisce un incontro tra l’autore e i suoi personaggi.
La doppia personalità o la personalità divisa di Alonso Quijano/don Chisciotte lo porta a discutere con Sancio dell’esistenza stessa del romanzo, il don Chisciotte, e si lamentano con l’autore.
Non solo assistiamo alla trasformazione della creatura in personaggio, ma al dialogo stesso tra personaggi fittizi e il loro creatore, tema cruciale nell’opera pirandelliana. E per continuare a rimescolare le carte, per riprendere a giocare, quando don Chisciotte e Sancio giungono a Barcellona, finiscono per visitare una tipografia in cui si sta stampando il romanzo in cui entrambi vivono come personaggi.
Era veramente pazzo don Chisciotte? Forse lo era secondo la concezione della pazzia vigente in Spagna intorno al 1605, ma non certo secondo le definizioni cliniche elaborate dalla psichiatria del XX secolo. In Alonso Quijano (la creatura) e in don Chisciotte (il personaggio) non c’è uno sdoppiamento radicale. Don Alonso non rompe con la dimensione della realtà come fanno gli psicotici. Egli si mantiene sempre in contatto con la realtà e Sancio rappresenta il suo legame con essa. Si potrebbe forse dire che don Alonso Quijano stia giocando ad essere un altro, il cavaliere errante, e che egli finga la pazzia come l’Enrico IV di Luigi Pirandello. Che fa finta di essere pazzo per consegnarsi a quella fantasia alla quale aspirano tutti coloro che desiderano vivere altre vite. Alonso Quijano non ha paura dell’immaginazione, né della fantasia; al contrario, egli si rifugia in essa perché è cosciente del fatto che viviamo nel mondo della soggettività. Ognuno vede in questo mondo (soprattutto nella politica e nella religione) il film che meglio si adatta alle sue credenze.

Nessun commento:

Posta un commento