lunedì 28 giugno 2010

IRIS o della dimenticanza

Un film bello e commovente come Iris – il cui argomento fondamentale è la perdita della memoria: la malattia dell’Alzheimer – offre agli spettatori un titolo che suggerisce esattamente il contrario di ciò che viene rappresentato nel dramma: “ricordi incancellabili”, mentre invece ciò di cui parla la trama è di come i ricordi si cancellino.
Non si sa molto bene se nel passato già esisteva la malattia o se l’alzheimer – elevandosi l’età collegata alle aspettative di vita – si riferisce ad una patologia più grave e più complessa di quella che prima veniva riconosciuta come “demenza senile”.
In Iris – film diretto da Richard Eyre e interpretato da Judi Dench, Jim Broadbent e Kate Winslet – vengono narrati gli ultimi momenti della scrittrice irlandese Iris Murdoch, morta l’otto febbraio del 1999, all’età di 79 anni. Si tratta dello stesso tema ricostruito dal documentarista Richard Dindo ne La malattia della memoria, un reportage realizzato a Nyon, vicino Ginevra, attraverso interviste a dei malati ed ai loro familiari.
La sceneggiatura del film prende chiaramente spunto dal libro Elegia a Iris, scritto dal critico e romanziere John Bayley, marito di Iris Murdoch per circa quarant’anni. Quando avverte i primi sintomi, egli annota sul suo quaderno: “Questa nebbia insidiosa, appena percepibile fin quando tutto ciò che c’è intorno a te scompare del tutto. Dopo, già non sarà possibile credere che esisteva un mondo al di là di questa nebbia”.
La narrazione si sviluppa dividendosi in due tempi paralleli: quello della giovinezza, interpretata da Kate Winslet, e quella della maturità e dei grandi momenti di lucidità, di cui si fa carico l’interpretazione di Judi Dench.
Nella presentazione dei primi minuti, Iris Murdoch appare come la grande scrittrice e filosofa nei suoi momenti migliori, mentre parla ad una conferenza sul valore dell’educazione, sostenendo che per quanto sia vero che l’educazione non comporti la felicità, essa comunque ci consente, in cambio, di renderci conto di quanto siamo felici. Solo poche frasi, quelle concesse dal linguaggio cinematografico per non disperdersi troppo in idee astratte, sono sufficienti per rendere l’idea della grandezza del personaggio, vincitrice del premio Booker nel 1978.
Bayley cerca di mostrare nel suo bel libro l’improvviso svanire della sua compagna (egli aveva cominciato a scriverlo mano a mano che la malattia avanzava, pubblicandolo verso la fine del 1998, due mesi prima della sua morte) e lo spegnimento della sua memoria condivisa. Già verso il 1994 compaiono alcuni segnali: “non riesco a ricordare chi sia e neanche cosa faccia” dice Iris a proposito del suo personaggio in Jackson’s Dilema. Le accade qualcosa di simile a ciò che era capitato allo storico nordamericano William Manchester: perse la capacità di stabilire connessioni.
“È molto piacevole stare seduto sul letto con Iris addormentata al mio fianco, russando dolcemente. Quando sopraggiunge il sonno ho la sensazione di poter volare in aria a faccia in giù e di poter osservare tutta l’immondizia della casa e delle nostre vite – tanto nel bene come nel male – contemplando come essa affondi lentamente nelle acque oscure fino a scomparire nelle profondità”.
Nel caso di una scrittrice come Iris Murdoch bisogna immaginare che la perdita di speranze diventi ansia o panico più che in altri casi. Perché in uno scrittore la memoria rappresenta una sedimentazione dell’esperienza che dovrà poi trasformarsi in parole narrative: costituisce il meccanismo stesso dell’invenzione letteraria e dell’immaginazione.
“Mi piace questa idea della memoria come macerazione dell’esperienza”, dice Luis Matteo Dìez, “e una delle frasi più plastiche e significative che ho ascoltato nella mia vita proviene da Antonio Lobo Antunes: che l’immaginazione non è altro che la memoria fermentata. La memoria del narratore è il deposito che meglio contiene gli elementi letterari della sua esperienza, questo humus che salva dall’oblio ciò che merita di perpetuarsi nella scrittura mentre si macera”.
John Bayley sentiva, mentre scriveva il suo libro, che una gran parte della sua vita stava entrando in una dimensione senza ritorno. Anch’egli sospettava in se stesso una leggera perdita della memoria, mentre stava restando solo, “incatenato ad una cadavere molto amato”, secondo quanto gli andava dicendo qualcuno.
Ciò che cambia è la percezione del mondo: “uno ha bisogno di sentire che l’individualità della sua consorte non si è diluita nei sintomi comuni di un quadro clinico”.
Come quando certi malati di AIDS vedono compromesso il loro quadro neuronale, anche nelle vittime dell’Alzheimer uno sente che prima muore la persona eppoi il corpo. C’è un momento in cui l’essere amato già non c’è più. Nessuno risponde. Non ci riconosce. Nessun essere riconoscibile abita più quel corpo senza memoria perché ciò che alla fine si è dispersa è la sua identità personale. Il suo Io. Il suo essere per gli altri e per sé stesso.

1 commento:

  1. è la mia paura più grande, ancora più della morte. Ancora più del senso di incompletezza e inappropriatezza che la vita cerca perennemente di incollarmi addosso come una gigantesca etichetta.
    La perdita della memoria.
    Scrivo.
    ovunque.
    lascio tracce delle tante Me sparse per il mondo, la rete.....la mente.
    Fotografo quello che attira la mia attenzione, fotografo cose belle ma anche e soprattutto cose che temo, cose di cui ho pietà, cose che sento simili a me e ai miei umori, faccio tante foto, ed è come se tanti occhi congelassero l'emozione in uno scatto, per non perderla, non lasciarla scivolare nell'oblìo...
    trattenerla con me e oltre me...
    e tutto ciò lo faccio perchè lo sento, perchè ne ho bisogno.
    Poi ci sono quei momenti di razionalità in cui si cerca di dar senso alle proprie azioni, come questo...
    ma basta poco per uscire da qualsiasi logica si stia seguendo, è inutile, c'è sempre un pezzo che manca....
    e poi ci sono tante casualità, che si mettono assieme, una dopo l'altra, come una catena..
    e tu sei li, la vedi allungarsi attorno a te ed hai la sensazione che si stia configurando un perimetro da cui non potrai uscire.
    E' follia forse, ma chi..chi può dirci infondo cosa è normale pensare e cosa esce da tale definizione?
    questo IRIS è il quinto film che "viene a cercarmi" e che parla dello stesso tema, la perdita della memoria......
    e più provo a non pensarci più l'argomento ritorna.
    Non potevo non commentare, non potevo non lasciare traccia di questa emozione che ancora una volta mi lascia senza fiato.
    ......grazie......

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